Biblioteca Civica Bertoliana

Novità

Aspettando di essere arrestati la notte

Aspettando di essere arrestati la notte

In un memoir lirico e profondamente coraggioso, Izgil raccontando la sua storia rende palpabile la tragica condizione di un popolo costretto con la forza a rinunciare alla propria religione, a tradizioni millenarie e persino alla lingua degli avi, vittima di un genocidio culturale che lascia un'unica alternativa, per quanto rischiosa e sofferta: fuggire dal paese, in cerca di libertà e speranza per sé e per la propria famiglia. Sottoposti a un'ossessiva sorveglianza con sofisticati strumenti digitali, privati dei più elementari diritti civili, arrestati in massa senza alcun motivo, rinchiusi a lungo in campi di rieducazione: da tempo la minoranza musulmana degli uiguri è oggetto di una brutale persecuzione da parte del governo cinese. Regista di successo, poeta innovativo e intellettuale di spicco, Tahir conosce bene la violenza dello Stato, avendo trascorso, fra il 1996 e il 1998, quasi tre anni in un campo di lavoro dove era stato indotto a confessare reati mai commessi. Ma dal 2017 la repressione ha assunto una nuova, terrificante intensità: il governo ha iniziato a mettere a tacere le voci critiche al regime, a confiscare i passaporti, a prelevare campioni di sangue e dati biometrici degli uiguri, e a internare nei campi di rieducazione quanti ritenuti «non affidabili». Mentre notte dopo notte, uno dopo l'altro, i suoi amici e conoscenti scomparivano nel nulla, a Izgil è diventato sempre più chiaro che nessuno sarebbe stato al sicuro. Si scoprì a pensare a un vecchio proverbio uiguro: non c'è muro che possa fermare il vento. Sarebbe bastata la delazione di un vicino di casa, una telefonata a un amico espatriato, la lettura di un libro messo al bando dal regime, perché da un momento all'altro la polizia arrivasse nel cuore della notte ad arrestarlo. Nel mezzo, la paura, e l'attesa. Un'attesa logorante.

Paradise garden

Paradise garden

Billie ha quattordici anni e vive con la madre in un caseggiato di periferia, una piccola città colorata di cinque stabili disposti a semicerchio. Ogni mattina Marika, sua madre, esce dall’edificio dipinto di giallo e va a fare le pulizie in un grande cubo di vetro, pieno di gente in completi costosi che la guarda come si guarda un carrello o una pianta. Il loro appartamento è in cima al palazzo, al piano che dà sull’autostrada vicina. È così piccolo che d’estate Marika piazza due sedie sul ballatoio per prendere il fresco. Difficile vivere in un posto simile, vero? Sì, ma in quel caseggiato Billie è la ragazza più felice del mondo. Chi ha, infatti, una madre che la sera lavora come cameriera in un bar del centro indossando una maglietta tempestata di paillettes, jeans attillatissimi e stivali da cowboy? Una madre con cui poter sguazzare a piedi nudi nelle pozzanghere quando piove e tuffarsi da una piattaforma di dieci metri? Una madre, infine, con cui condividere sogni e speranze? Chi ha poi amici come Ahmed, il vicino che profuma di sapone e di tabacco da narghilè e ha le ciglia più lunghe di tutti nel caseggiato? O come Luna, che lavora al solarium, possiede infradito di tutti i colori dell’universo e sogna di sposare un uomo che le paghi i debiti? Basta accogliere con gioia quello che si ha: ecco quello che ha imparato Billie nella piccola città colorata di periferia. Un giorno, però, arriva dall’Ungheria la nonna, e la vita povera ma gioiosa di madre e figlia diventa un ricordo del passato. Dolore e lutto irrompono nell’esistenza di Billie. E ciò che prima non era contemplato, il sentimento della mancanza, affiora per la prima volta con ferocia. Billie decide che è giunto il momento di fare i conti con la figura assente da sempre nella sua vita: il padre mai conosciuto. Con una parrucca azzurra in testa, una fotografia in mano e gli stivali da cowboy di sua madre, parte alla sua ricerca.

Vicino a casa

Vicino a casa

Anthony, il fratello di Sean, è un tipo tosto. Quando erano bambini, la madre cercava di tenerlo lontano dai guai, ma senza successo. Sean doveva essere diverso, doveva andarsene lontano e non tornare mai più. Ma Sean torna. Torna a Belfast, dove i posti di lavoro sono sempre meno, la sua laurea non ha valore e nessuno lo considera. Torna, suo malgrado, alle vecchie abitudini: notti folli, prestiti non restituiti, affitti non pagati, lavori occasionali che falliscono. Torna in queste strade lacerate, dove la prosperità promessa dalla pace non è mai arrivata. Torna dai suoi fratelli, dalla madre e da tutte quelle cose di cui non parlano mai. Finché una sera, a una festa, esausto e circondato da estranei che lo prendono in giro, commette un grosso errore che fa precipitare tutto nel caos. Il romanzo racconta le conseguenze di quella notte, mentre Sean cerca di dare un senso a ciò che è diventato e di confrontarsi con le relazioni che lo hanno formato, nel bene e nel male. Attingendo alla propria esperienza, Michael Magee esplora la mascolinità contemporanea plasmata dal luogo e dalla classe, dal trauma individuale e collettivo, dal silenzio e dalla violenza, ma anche dal coraggio, dalla lealtà e dalla volontà di sopravvivere. Scrive delle complesse forme di amore che esistono in una famiglia, tra fratelli, tra madre e figlio. Scrive dell'intimità dell'amicizia maschile e della dolorosa sensazione di non appartenere più alle persone con cui si è cresciuti. E scrive, con intelligenza e umanità sorprendenti, della povertà e della criminalità che minacciano i giovani della classe operaia, e della lotta per liberarsene. Luminoso e devastante, "Vicino a casa" parla di decidere che tipo di uomo si vuole essere e di come trovare il proprio posto nella città ferita che si chiama casa.

Cinquecento anni di rabbia

Cinquecento anni di rabbia

Nel Cinquecento, l’invenzione di Gutenberg – la stampa a caratteri mobili – fu il motore inconsapevole di una rivoluzione. La capillare diffusione di fogli stampati con la nuova tecnologia a basso prezzo portò chi non aveva mai avuto accesso al potere di prendere coscienza per la prima volta di istanze comuni. La rabbia sociale che ne esplose assunse una forma nuova e organizzata, da cui scaturì la Guerra dei contadini, alla fine repressa nel sangue nel 1525. Da allora il mondo non fu più come prima; da quel momento il potere iniziò a occuparsi dei mezzi di informazione per poterli imbrigliare e rendere innocui. Cinque secoli dopo – parliamo di noi – è accaduto qualcosa di molto simile. È il 6 gennaio 2021 quando il sogno della «più grande democrazia del mondo», incredibilmente, vacilla. Una folla inferocita, composta in maggioranza da uomini bianchi, dà l’assalto al Congresso degli Stati Uniti, a Capitol Hill. La rabbia popolare di quel giorno viene incanalata e organizzata dai social media. In entrambi i casi un nuovo mezzo di comunicazione, sfuggito ai filtri del potere, porta in superficie la rabbia di chi si sente escluso dalla narrazione dominante. In Cinquecento anni di rabbia Francesco Filippi discute una tesi affascinante: c’è uno stretto rapporto che intercorre tra le rivolte e i mezzi di comunicazione dal Cinquecento a oggi e senza dubbio quella a cui stiamo assistendo in questi anni è una rivoluzione, di cui noi siamo i protagonisti. Mai come ora abbiamo bisogno di fare un buon uso della storia per capire con maggiore profondità il mondo nel quale viviamo.

Wunderland

Wunderland

Bruno Stock ha una moglie, un figlio e due amanti. Rappresentante di articoli di cartoleria, abita in una località dalle caratteristiche singolari. Ogni cosa funziona a meraviglia, in particolare i trasporti, con una rete ferroviaria stupefacente. Certo, il luogo ha le sue regole: la corrente elettrica viene tolta dalle 9 di sera alle 8 di mattina, non piove mai, barriere invalicabili sembrano cingerne i confini. L'esistenza di Bruno scorre tranquilla fra il tran tran domestico, il lavoro, sempre in giro in treno a visitare le clienti, e il circolo maschile dove va a giocare a carte. Ma un giorno, in una bettola, incontra Trudy, una giovane che gli fa perdere la testa. Il suo è un amore folle, acceso da un desiderio costante, alimentato dal racconto reciproco di sogni, pensieri e passioni. Questo amore tutto farà esplodere, spalancando possibilità e destini inaspettati. All'orizzonte, unico approdo possibile, si staglia la leggendaria Wunderland, immensa città dell'intrattenimento, grandioso parco divertimenti senza regole e limiti, dove si può ricominciare da capo, crearsi una nuova vita e una diversa identità. Per Bruno e Trudy, Wunderland è un nuovo giro di giostra, dalle conseguenze imprevedibili, dove servono molto fegato e pochi scrupoli. Francesco Recami ha abituato negli anni le lettrici e i lettori a un racconto del mondo plasmato da un umorismo caustico, che altro non è che una forma estrema di realismo. In questo romanzo sperimentale, lo scrittore si spinge oltre, aggiungendo un ulteriore tassello alla demolizione sistematica di cliché e idee codificate. Molti dei suoi temi sembrano declinarsi qui con cinismo ancora maggiore del solito: la debolezza dei singoli rispetto ai grandi sistemi che determinano il flusso del potere e della storia, il sentimento costante di un grande complotto, la banalità e la debolezza dell'immaginazione individuale, la falsità dei desideri. Tutto questo in Wunderland deflagra in un rovesciamento degli eventi e delle attese, in un universo in scala degno del miglior Philip K. Dick, folle e impossibile, incubo e rivelazione al tempo stesso.

I ricordi dell'acqua

I ricordi dell'acqua

Una goccia d’acqua è sospesa sul capo del re di Assiria mentre legge il poema di Gilgamesh su una tavoletta di lapislazzuli: è la prima avvisaglia dell’inondazione che distruggerà la biblioteca del colto e feroce Assurbanipal. In un tempo remoto e in luoghi in cui ormai è quasi impossibile scorgere traccia delle più antiche civiltà, prende forma l’ultimo lavoro di Elif Shafak, che con il piglio della cantastorie ci conduce, di sponda in sponda, dal Medioriente al cuore dell’Occidente, dove nella Londra di metà Ottocento, sulle rive del Tamigi, nasce Arthur; ragazzo poverissimo e dalla mente luminosa, verrà sedotto dalle letture sulle spedizioni archeologiche condotte a Ninive, dove decide che si compirà il suo destino. Tra le insenature di questo libro che si dipana al modo di un fiume troviamo anche Zaleekhah, donna del XXI secolo, studiosa di idrogeologia, reclusa nella sua casa-chiatta sul Tamigi e in cerca di una nuova via. E poi ancora una bambina turca di etnia yazida, che dopo il battesimo nel Tigri è rapita dall’Isis per essere venduta come schiava. Ed è quella goccia iniziale appena formata, che non ha ancora toccato terra e che continuerà a trasformarsi, senza mai smettere di compiere il suo cammino, a unire inesorabilmente i protagonisti di questa storia. L’acqua che unisce i popoli e il mondo, portatrice di vita e di distruzione, l’acqua che non c’è più e quella che intirizzisce, grigia e fredda. Elif Shafak consegna un’opera che amplifica lo sguardo, lo sgombra da polvere e dimenticanze imperdonabili e racconta, quasi canta, cosa lega tra loro gli uomini.

Fumana

Fumana

Il suo nome è Fumana, che nella bassa del Po vuol dire nebbia. In quel mare pallido che copre ogni cosa come un mantello, a lei piace perdersi, e non ha paura di nulla. Lo sa bene suo nonno, il rude Petrolio, che di notte la porta nelle paludi a pescare le anguille. Fumana cresce libera e selvaggia, ma quando comincia a farsi donna, Petrolio deve chiedere aiuto alla Lena, la «strigossa» della zona. Lena le insegnerà molte cose, da come stendere la sfoglia per i cappelletti alle parole segrete che usa per guarire le persone. Così, mentre l’Italia passa da una guerra all’altra, Fumana scopre il suo dono, la sua vocazione. Una storia piena di tenerezza sui legami e sulla trasmissione dei talenti, sull’accettazione del proprio destino ma anche sulla tenacia nel cercare la propria strada. A Fumana la nebbia piace così tanto che a volte, quando si immerge in quel bianco opalescente, sembra ci sia qualcuno – o qualcosa – ad aspettarla. Le piace pure pescare con il nonno, la notte, sul sandolo, una lanterna a illuminare il buio della palude. E poi, da un certo punto in avanti, inizia a piacerle anche Luca: dopo aver fatto il bagno con lui alla pozza delle monache, torna a casa senza sapere bene che cosa le si agita dentro, e perché. La notte in cui è nata, la gente di Voltascirocco se la ricorda ancora, sembrava che l’Adige volesse portarsi via tutto il Veneto. Se sopravvivi a un disastro come quello, con tua madre che muore di parto e tuo padre che forse è fuggito verso la Merica a cercare fortuna, è perché la vita ti ha destinato a qualcosa. I primi anni col nonno Petrolio, nella quiete immobile dei margini del paese, tra i canali pieni di rane, anguille e tinche, Fumana li passa a esplorare tutto ciò che può e a far finta di non sentire i giudizi degli altri. Ma poi l’infanzia finisce, e persino il burbero Petrolio capisce che deve fare qualcosa, che sua nipote sta diventando una ragazza: l’incontro con Lena, che con certe sue parole, con certi suoi segni, con certe sue erbe guarisce la gente, sarà la svolta. Ma accettare il proprio dono – Fumana è «venuta al mondo con la veste» e ha perciò qualità prodigiose – significherà forse sacrificare tutto il resto. Paolo Malaguti ci racconta una storia antica eppure ancora vicina. Un mondo perduto tra il fiume e la pianura, tra la pesca e la magia contadina, al centro del quale c’è un personaggio femminile tenace, alle prese con le aspettative di una società chiusa, a tratti meschina, e il desiderio di essere sé stessa.

Malastrada

Malastrada

I Malarazza hanno conquistato l’America. Alla fine dell’Ottocento l’impero dei Montalto si estende dagli Stati Uniti all’Europa, i loro commerci fioriscono, le loro navi collegano le sponde dell’Atlantico e il loro vino è sulle tavole più prestigiose. Prima di lasciare New York, Rosaria Battaglia ha affidato ai figli Leonardo e Paolo la guida della banca di cui è stata la prima donna presidente, ed è tornata a Castellammare del Golfo con la figlia minore, Benedetta: è lei che un giorno dovrà prendere le redini del ramo siciliano della famiglia. Giovane, bella ed emancipata, Benedetta si innamora di Ignazio Rizzo, che con il padre Vincenzo ha gestito la ricchezza dei Montalto. Ma Don Vincenzo sa che quell’amore, travolgente e viscerale, non deve andare oltre ed è disposto a tutto pur di separare i due giovani. E mentre Benedetta deve affrontare l’allontanamento di Ignazio e la nuova mole di responsabilità, in America la gestione attenta di Leonardo e il suo impegno nel tessere legami con l’alta società newyorkese non bastano a evitare le insidie che si affacciano all’orizzonte. Il rapporto sempre più burrascoso con il fratello Paolo, al contrario sregolato e dissoluto, e l’incombere della Mano Nera minacciano di spezzare gli equilibri familiari. È solo l’inizio di una nuova, turbolenta, fase per gli eredi di Antonio Montalto: tra ambizioni personali e lotte fratricide, Leonardo, Paolo e Benedetta dovranno guardarsi le spalle non solo dai nemici esterni, ma ciascuno dal sangue del proprio sangue.

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