Biblioteca Civica Bertoliana

Antichi libri di cucina in Bertoliana

Nella Grecia classica vi sono le prime testimonianze gastronomiche sotto forma di aforismi di dietetica, consigli medici e ricettari. Apicio rivelò tutti i segreti della cucina latina. Con la caduta dell'Impero Romano la letteratura gastronomica si eclissa sino al tardo medioevo, affidando la propria sopravvivenza ai trattati di dietetica, di medicina e agli erbari. Gli autori rinascimentali riprendono la cultura culinaria del mondo classico introducendo varianti e spezie negli alimenti.

Il De honesta voluptate dell'umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina pone le basi per una nuova gastronomia ed aggiunge un elemento nuovo, il concetto di piacere e del ben vivere a tavola. Cremonese, direttore della biblioteca pontificia, letterato ed umanista, nel suo libro compare per la prima volta la parola latina polenta ad indicare la farinata di cereali che i contadini chiamavano volgarmente migliaccio

Il De honesta uoluptate, stampato nel 1529, è un prontuario di cucina per gente facoltosa, sensibile ai piaceri della tavola e sazia al punto da doversi stuzzicare di continuo l'appetito; non mancano le semplici ricette popolari, dalle marinate di pesci o di verdure alle farinate d'orzo o di spelta, ma si passa via via ai pesci, al pollame, alla selvaggina, ai funghi, alle lumache, ai vini melati o aromatici, per giungere alle portate esotiche o inusitate: gli arrosti di cigno, di pappagallo, di struzzo, di fenicottero, di porcospino, fino alle dolci prelibatezze del ghiro cotto nel miele. Ogni vivanda viene irrorata con forti salse di aceto, zucchero e spezie a profusione, quasi a soverchiare il sentore di carni troppo frolle.

E' presso le corti italiane del Cinquecento che si sviluppa l'arte del ben vivere a tavola ed italiani sono il Messisbugo, Romoli e Scappi, autori di trattati culinari ed abili direttori della scena conviviale. Nelle loro opere compare e si consolida una gerarchia tra gli addetti alla mensa: si va dal maestro di casa che sovrintende, allo “scalco” che è come il regista dell'intero apparato del banchetto, al cuoco, al trinciante addetto al taglio delle carni, al credenziere, al coppiere, al bottigliere e allo spenditore.

Il rapporto tra cibo e medicina ha una lunga storia e in tutto questo cammino sovente il cibo è stato assimilato a un farmaco. Che il cibo fosse «la prima medicina» era una radicata convinzione che la cultura classica aveva trasmesso a quella medioevale, recepita e praticata con profonda adesione ancora in pieno Rinascimento. Sulla trasformazione degli alimenti in umori corporei il De re cibaria del medico Bruyerin, pubblicato nel 1560, è in assoluto una delle fonti più approfondite.

Cristoforo da Messisbugo, scalco a Ferrara presso la corte degli Estensi, nel suo Libro novo offre oltre 315 ricette e individua le caratteristiche del convito rinascimentale. Messisbugo è fra tutti il regista più abile ed esperto delle esigenze della corte, e nel suo Libro novo, oltre alle ricette, racconta le caratteristiche del convito rinascimentale, evento scandito da una serie di sequenze guidate, nello sfarzo e nella sontuosità dell'insieme, da un senso di armonia ed equilibrio: portate, musiche, danze, teatro, conversazioni, sorprese Tutto è sapientemente modulato da una raffinata arte del ricevere, dove i piaceri del gusto convivono con i piaceri della vista e dell'udito.

Scalco è anche Domenico Romoli detto il Panonto, che nella sua opera illustra pietanze, banchetti da allestire, proprietà salutari degli alimenti.

Di Domenico Romoli non ci sono pervenute notizie personali. Si può desumere, dalla prima edizione del suo trattato La Singolar dottrina, che visse in pieno ‘500 svolgendo mansioni di scalco presso diversi signori, fra i quali Papa Leone X. Fu, come scrisse un suo contemporaneo: “un gentiluomo fiorentino, esperto delle cose di cucina non meno che di quelle di corte, dotato di buone letture d’autori classici e moderni”. Il suo trattato, suddiviso in due parti, si presenta come una sorta di enciclopedia dell’arte gastronomica. Nella prima parte descrive in vari libri i compiti dello scalco, l’attenzione ai rapporti umani con il signore e i propri dipendenti, la natura di carni e pesci, il menù quotidiano e del banchetto. La seconda parte dell’opera è invece dedicata alla qualità dei cibi, alle diete da osservare, agli effetti che le vivande possono produrre a danno o a profitto della salute, e agli esercizi fisici convenienti nelle varie stagioni dell’età. Dalla Singolar dottrina è possibile ricavare testimonianze sia sull’arte della tavola che sugli stili di vita del XVI sec. Curiosi sono i consigli a favore di certi cibi ritenuti afrodisiaci: "la senape... accende la lussuria, i porri... commuovono il coito, i capperi... lo fan vivace".

Bartolomeo Scappi, “cuoco secreto” di Pio V, nella sua Opera descrive gli ambienti della cucina, ricette, menù stagionali e regimi dietetici per gli infermi e propone la figura del cuoco professionista ed itinerante, al servizio dei signori e dei prelati del tempo. Monumentale opera composita di cucina ma anche di scalcheria in quanto tutto il quarto libro è dedicato alle liste di pranzi, cene e banchetti, materia solitamente riservata, in una società dalle gerarchie sociali fortemente caratterizzata, allo scalco piuttosto che al cuoco.

Nel Seicento, secolo dell'illusione e delle meraviglie ingegnose, la gastronomia sembra diventare quasi un pretesto per composizioni bizzarre o piene di citazioni erudite. Li tre trattati di Giegher risalta per il suo apparato iconografico, nel quale fanno spicco le illustrazioni relative ai tanti fantasiosi modi di piegare i tovaglioli o di sbucciare un frutto.

Giovanni Rosselli va identificato con Jean Duval Joanni de Valle, cuoco segreto di papa Paolo III. La Bertoliana possiede una delle 17 riedizioni dell'opera pubblicata per la prima volta nel 1516.

Nel 1664 Pedro Chacon , che si firma Petrus Ciacconius Toletanus pubblica il De triclinio, importante studio sull’arte della tavola presso gli antichi Romani, sulle feste, i conviti, i piatti, come servire a tavola. L'autore, che fu soprannominato il Varrone del suo secolo, nacque a Toledo nel 1525.

Interessante per gli argomenti trattatui è il libro di Antonio Cocchi, Del vitto pitagorico per uso della medicina. Il Cocchi intende per vitto pitagorico, secondo la tradizione, una dieta vegetariana integrata da latte e miele, che ritiene atta a tutte le esigenze nutritive e priva di controindicazioni. Sul vitto vegetariano, secondo i precetti pitagorici, in seguito alla pubblicazione all'inizio del '500 del testo del noto filosofo platonico Porfirio (che ne costituisce com'è noto la prima organica teorizzazione per ragioni etiche, accompagnata da una più generale condanna dei sacrifici cruenti) furono pubblicate nei secoli successivi moltissime opere, sia a favore che contrarie. Particolare degno di nota: il libro è stato stampato a Vicenza.

Antonio Nebbia visse nella seconda metà del XVIII secolo: lavorò per anni presso molte famiglie gentilizie e nel 1779 diede alle stampe per la prima volta un ricettario dal titolo Il Cuoco Maceratese. Il libro ricalcava l'impostazione della cosiddetta Grande Cuisine, che, dopo la Francia, stava conquistando il gusto alimentare della vecchia Europa. La rivoluzione sociale e politica dell'illuminismo influenza anche la cucina. Per la prima volta l'autore sviluppa una gastronomia per le nuove classi sociali e fissa le regole moderne dell'alimentazione. Il libro ebbe uno straordinario successo e venne riproposto in tutta Italia per oltre un secolo fino all'avvento dell'Artusi. Il Cuoco Maceratese è anche un vero manuale di cucina e secondo le intenzioni dell'autore avrebbe dovuto insegnare a cucinare ogni sorta di vivanda, tanto di grasso che di magro. Dietro ogni ricetta non vi è improvvisazione, ma una grande professionalità e una notevole esperienza. Con una millenaria consapevolezza, intelligenza, abilità, Nebbia aggira i condizionamenti dell'indigenza materiale, e utilizza e ricicla tutto il possibile alimentare. Il cucinare rappresenta per lui la vera economia della vita quotidiana e per questo Il Cuoco Maceratese testimonia bene il costume di un'epoca.

1. Fraglia dei casolini <Vicenza>, Ordeni, capitoli et terminationi della fraglia di casolini di Vicenza

Manoscritto membranaceo; 1479, con aggiunte fino al 1664

La “fraglia” dal latino fratalea, nel significato di fratellanza, indicava nel Veneto e nei territori del Dogado, le corporazioni di arti e mestieri e le confraternite religiose. Il manoscritto mostra nella c. di incipit, aggiunta assieme ai primi due fascicoli nel Seicento, incisione dipinta a mano della Natività, mentre sulle controguardie sono incollati due proclami a stampa datati 29 luglio 1664 e 23 agosto 1661 relativi agli obblighi spettanti agli iscritti alla fraglia, nonché ai “revendicoli”, cioè ai venditori al minuto che volessero fare commercio di generi alimentari.

 

2. Ricettario di Paulo Angelico vicentino.
Manoscritto cartaceo; 1596

Dell’autore di questo ricettario non abbiamo notizia alcuna. Che si tratti di un vicentino e che il testo delle ricette sia autografo, ci viene da due distinte note presenti, una sul piatto anteriore, l’altra sulla carta di guardia che funge da frontespizio.

Il manoscritto, parte in latino, parte in volgare, non contiene solo ricette di cucina, ma anche suggerimenti per realizzare decotti e pomate o, come recita la c. 1r: un “Cirotto da callj”. E’ aperto alla c. 59r dove è descritta la ricetta per il “Cervellato alla Millanese”. La ricetta è di particolare interesse perché prevede l’uso contemporaneo di diverse spezie: i “garoffoli” (chiodi di garofano), il “cinnamomo fino” (la cannella), le “noci moscate”, il “macis” e lo “zafferano”.

 

3. Crescenzi, Pietro : de', Incomincia illibro [!] della agricultura di Piero Crescientio cittadino di Bolognia ad honore didio et del serenissimo re Carlo

(Impressum hoc opus uicencie : per meleonardum [!] de basilea, die xvii. mensis Februarii 1490 )

E’ un trattato di agricoltura, in cui il tema del vino e della viticoltura ha una parte preponderante. L’autore, il bolognese Pietro de’ Crescenzi (1230-1321), utilizza largamente le fonti antiche, come Catone, Varrone, Columella, ma molto ricava pure dalla propria esperienza, in particolare dalle osservazioni eseguite in Italia e in Provenza. Il libro è, per unanime riconoscimento, quanto di più importante ci ha lasciato in questa materia il Medioevo.

La prima edizione dell’opera vide la luce in Germania. Questa edizione vicentina, la seconda in Italia, è dovuta alla maestria di Leonardo Acate. L’esemplare esposto presenta nella prima carta una splendida cornice miniata arricchita da raffigurazioni di animali secondo il gusto rinascimentale.

 

4. Mattia Giegher, Li tre trattati di messer Mattia Giegher bauaro di Mosburc, trinciante dell'ill.ma natione alemanna in Padoua. Nel primo si mostra con facilita grande il modo di piegare ogni sorte di panni lini ... Nel secondo, intitolato lo Scalco, s'insegna, oltr'al conoscere le stagioni di tutte le cose, che si mangiano, la maniera di mettere in tauola le viuande ... Nel terzo, detto il Trinciante, s'insegna il modo di trinciare ogni sorte di viuande ... opera rinuouata, e di molte cose accresciuta. - In Padoua : per Paolo Frambotto, 1639.

Nel Seicento, secolo dell'illusione e delle meraviglie ingegnose, la gastronomia sembra diventare quasi un pretesto per composizioni bizzarre o piene di citazioni erudite. Li tre trattati di Giegher risalta per il suo apparato iconografico, nel quale fanno spicco le illustrazioni relative ai tanti fantasiosi modi di piegare i tovaglioli o di sbucciare un frutto.